L’USURA SOPRAVVENUTA

(A cura dell’Avv. Massimo Colangelo)

La giurisprudenza ha individuato due differenti fattispecie di usura, ovvero quella originaria che si riferisce all’illeceità della clausola che stabilisce un tasso di interesse, che superi la soglia dell’usura come determinata  dalla Banca d’Italia, ove ciò avvenga in sede di stipula del contratto di finanziamento/mutuo/apertura conto corrente, viceversa se il tasso iniziale fosse corretto e solo successivamente intervenisse il superamento di tale limite, si parlerebbe allora di usura sopravvenuta.

Le differenze tra le due figure giuridiche è che la prima è sanzionata dalla giurisprudenza con l’annullamento degli interessi, ex art. 1815 c.c., se si tratta degli interessi corrispettivi, viceversa se si tratta di interessi moratori e solo questi ultimi superino il tasso soglia, sarebbero dovuti solo nella misura di quelli effettivi.

In particolare la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 145 del 4 gennaio 2023, ha statuito che all’accertamento dell’usurarietà degli interessi moratori consegue l’applicazione dell’art. 1815 c.c., comma 2 (“Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”), di modo che gli interessi moratori non sono dovuti alla banca nella misura usuraria pattuita in contratto, bensì in quella degli interessi corrispettivi legittimamente convenuti. A parere di una parte della dottrina, tuttavia il mutuatario che sia consumatore ha però diritto, per quanto lo riguardi, di domandare la nullità della clausola relativa agli interessi moratori, in quanto vessatoria, nulla dovendo in tal caso a titolo di interessi moratori.

In quanto consumatore sarà in particolare applicabile allo stesso la tutela prevista dal D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo), art. 33 (Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore), comma 2 (vessatorietà fino a prova contraria), lett. f) e art. 36 (Nullità di protezione), comma 1 (nullità parziale delle clausole considerate vessatorie), essendo rimessa allo stesso la scelta di far valere l’uno o l’altro rimedio.

Quanto all’usura sopravvenuta fino a poco tempo, va valevano i principi delle Sezioni Unite della Cassazione che con la sentenza n. 24675 del 18.07.2017, escludevano che si potesse verificare una nullità virtuale ex tunc, perché il legislatore individua il momento chiave in quello della stipulazione dell’obbligazione e, di conseguenza, che non si poteva contemplare l’ipotesi di usura sopravvenuta. Le SS.UU. della Suprema Corte di legittimità, avevano infatti puntualizzato che la pretesa di riscuotere gli interessi come originariamente pattuiti dalle parti, non potesse comportare una lesione del principio di buona fede.

Ciò posto, questo il criterio era stato dettato in riferimento ai contratti di mutuo ed è stato poi esteso anche ai contratti di conto corrente.

Di recente è tuttavia intervenuta la Cassazione civile, sez. III, che con sentenza del 28/09/2023, n. 27545 ha così stabilito: “I saggi di interesse usurari – che non siano stati pattuiti originariamente, ma siano sopraggiunti in corso di causa – costituiscono in ogni caso importi indebiti. Il creditore che voglia interessi divenuti nel corso del rapporto in misura ultra legale pretenderebbe per ciò stesso l’esecuzione di una prestazione oggettivamente sproporzionata: il suo comportamento sarebbe contrario al generale principio di buona fede contrattuale, che impone alle parti comportamenti collaborativi, anche in sede di esecuzione del contratto.”

Questa sentenza di fatto reintroduce la possibilità di chiedere l’annullamento del tasso usurario, ma solo rispetto ai contratti di conto corrente e non anche per quelli di mutuo.

Ora cosa succede se ciò si avvera, per quella rata non si applica alcun interesse, oppure, si riconduce quest’ultimo al tasso soglia (posizione assunta dalla prevalente giurisprudenza), o si applica il tasso di interesse legale, oppure ancora per analogia si applica l’art.117 del TUB che al comma 7, che prevede che il tasso sostitutivo da applicarsi ai casi di nullità della clausola interessi, debba essere il tasso dei BOT e non il tasso legale (per la precisa determinazione del tasso BOT si rinvia al testo della norma), come ad esempio stabilito per i contratti indicizzati all’Euribor, stipulati tra il 29.09.2005 e il 30.10.2008, che hanno violato le norme sulla concorrenza.

In realtà, nella fattispecie, la maggioranza della giurisprudenza esclude l’applicazione del profilo sanzionatorio di cui al combinato disposto degli artt. 644 c.p., e 1815 c.c., che conduce all’annullamento degli interessi, poiché ci troviamo di fronte a una violazione della buona fede oggettiva.

Per la stessa ragione, secondo il Prof Aldo Angelo Dolmetta (https://www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/452/qg_2017-3_19.pdf): “Non troverà applicazione la struttura delineata dal comma 7 dell’art. 117 Tub, posto che il profilo sanzionatorio, che la attraversa, la rende propriamente estranea ai profili contenutistici di tale canone (per l’appunto privo di qualunque connotazione punitiva). E nemmeno potrebbe dirsi, per la verità, per l’idea maggioritaria secondo cui il carico economico andrebbe ridotto entro il limite della misura massima consentita. Questa enfatizza tantissimo la volontà storica delle parti, mentre la buona fede è, all’opposto, canone per eccellenza eteronomo. E pure perché coerente con il criterio della buona fede è un carico economico che si attesti sulla linea di normalità del mercato. Sul medio corrente, insomma: non certo verso le zone di confine estremo di quest’ultimo, là dove il discrimine tra l’«esoso» e il «tollerato» viene a confondersi.”

A parere dello studioso la riconduzione al Tegm pare la soluzione più equa in quanto “si sostanzia nel portare il carico economico dell’operazione colpita da usura al tasso medio corrente trimestre per trimestre: l’idea si riporta, in buona sostanza, all’indice di mercato che risulta selezionato dalla rilevazioni trimestrali predisposte dalla Banca d’Italia”.

Dissentiamo da questa soluzione, perché appare più afflittiva per l’usurato, meglio sarebbe quindi applicare il alla parte danneggiata, il tasso di interesse legale più favorevole, tra quello attuale della violazione, o quello dell’epoca in cui è stato sottoscritto il contratto bancario, perché altrimenti ci sarebbe l’assurdo dell’imposizione potenziale di un tasso addirittura più alto di quello usurario, basti pensare che in poco tempo, il saggio di interessi di cui all’art. 1284 c.c. è salito dal picco minimo dello 0.01 del 2021 al 5% del 2023 (attualmente è pari al 2,5% dal 01.01.2024).

Il motivo per l’opzione del tasso legale deriva dal dettato dell’art. 1825 c.c. che stabilisce che: “Sulle rimesse decorrono gli interessi nella misura stabilita dal contratto o dagli usi ovvero, in mancanza, in quella legale”, dal che si deduce che ove non possano trovare applicazione gli interessi convenzionali, perché divenuti illegittimi, in mancanza, si debbano applicare quelli legali, che vanno sempre ricondotti secondo il principio di equità.

Il discorso in questione non dovrebbe valere per il consumatore, per gli interessi moratori ove ricorrano i presupposti già illustrati, in quel caso, nessun interesse dovrebbe essere applicato.

Pubblicato da Massimo Colangelo (Michelangelo Magnus - Movimento R.A.O. Reality Art Open)

Avv. Massimo Colangelo

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